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Altro che miracolo: Halo e barriere gli angeli custodi di Grosjean


Avatar di Salvo Sardina , il 30/11/20

3 anni fa - Gli esperti (e il pilota) concordano: non è stato un miracolo a salvare Grosjean

Ma che miracolo? Halo e barriere gli angeli di Grosjean

Il pilota concorda con gli esperti: il vero miracolo è il progresso tecnologico in termini di sicurezza. Il parere di Jarno Zaffelli
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INCIDENTE GROSJEAN, UN MIRACOLO? TUTT’ALTRO

Prima la paura e poi il sollievo. Sentimenti che nella giornata di ieri hanno riunito sotto un’unica fede tutti gli appassionati di motorsport, rimasti attoniti davanti ai replay che mostravano da varie angolazioni l’agghiacciante dinamica dell’incidente di Romain Grosjean. Un botto pazzesco, di quelli che si vedono ogni dieci anni, causato – giusto dirlo – da un errore di valutazione del pilota francese e che si è risolto in un grosso spavento, accompagnato da qualche bruciatura a mani e caviglie. In sostanza un miracolo, si è detto comprensibilmente sull’onda dell’emozione nei minuti seguenti lo schianto… Un miracolo che però miracolo, a conti fatti, non è per nulla.

Se il francese di casa Haas si è salvato emergendo da una palla di fuoco, il merito non è solo della fortuna che innegabilmente lo ha assistito. Romain è ancora tra noi e sarà presto in condizione di correre di nuovo in macchina – non necessariamente in F1, visto che quello di ieri doveva essere il suo terzultimo Gp – perché si è salvato tante volte prima del rogo di ieri. Si è salvato, ad esempio, in quel terribile weekend di Imola del 1994, quando aveva da poco compiuto otto anni e magari non si trovava neppure davanti alla tv. E poi si è salvato in Ungheria nel 2009, con la molla della BrawnGP di Barrichello dritta sul casco di Felipe Massa, e anche nel 2014 sotto il diluvio di Suzuka, quando il connazionale Jules Bianchi è finito contro una ruspa nelle vie di fuga. Si è salvato allora e in tante altre occasioni, in tutte quelle giornate terribili in cui la passione per il motorsport ci ha voluto lasciare ferite indelebili. Ponendo gli addetti ai lavori dinanzi alla necessità di spingere ancora un po’ più in alto, passo dopo passo, l’asticella della sicurezza.

F1, GP Bahrain 2020: Romain Grosjean (Haas) esce dai rottami incendiati della sua vettura F1, GP Bahrain 2020: Romain Grosjean (Haas) esce dai rottami incendiati della sua vettura

HALO, CHE COS’È E PERCHÉ HA SALVATO LA VITA DI ROMAIN GROSJEAN

Lo abbiamo criticato quando lo abbiamo visto per la prima volta su una monoposto di Formula 1, e a ragione. Ideato nel 2015, il dispositivo Halo è una corona di protezione in titanio sopra il casco del pilota, sostenuta da un pilone centrale posizionato davanti all’abitacolo. Pensato per proteggere la testa in caso di urto con oggetti di grandi dimensioni – auto, grossi detriti, gomme o barriere di protezione, come nel caso di Grosjean – il sistema è stato provato per la prima volta nel corso dei test pre-stagione 2016 prima di essere reso obbligatorio dal mondiale 2018. E ci ha fatto gridare, legittimamente e in buona fede, allo scandalo: guardare le F1 di oggi al confronto di quelle del 2017 è un colpo al cuore e un pugno in un occhio. Impossibile negarlo.

F1 Test Barcellona 2016: Kimi Raikkonen (Scuderia Ferrari) prova l'Halo per la prima volta F1 Test Barcellona 2016: Kimi Raikkonen (Scuderia Ferrari) prova l'Halo per la prima volta

A lamentarsi del risultato sono stati persino i piloti che, al di là degli aspetti meramente estetici, rilevavano qualche difficoltà in più nell’uscire dal cockpit, pur ammettendo invece che il pilone centrale non arrecava alcun fastidio in termini di visibilità. Un colpo al cuore e un pugno in occhio a cui però ci siamo abituati in fretta – in fondo, lo avevamo già fatto prima con le orribili monoposto del 2014 e con i musi a scalino di due anni prima – specie dopo l’incidente al via del GP del Belgio 2018, quando la McLaren di Fernando Alonso è decollata sopra l’Alfa Romeo Sauber dell’allora esordiente Charles Leclerc. I segni neri, inconfondibili, di una ruotata sull’Halo che ha salvato la vita al monegasco che oggi guida la Ferrari, non sono bastati a tutti per cambiare idea. “Non c’è la controprova – e per fortuna, aggiungiamo – che, senza protezione, Leclerc sarebbe morto”, la principale obiezione degli ultras del no-Halo. C’è però la prova che, con Halo, Leclerc è sceso dalla macchina senza un graffio, ha continuato a correre e adesso sogna un titolo con la Ferrari (questa è però un’altra storia). E tanto ci bastava.

L’attesa controprova, stavolta in un incidente persino ancora più drammatico, l’abbiamo avuta ieri. La Haas di Grosjean, schizzata a 200 all’ora verso il guardrail, alla fine ha terminato la sua folle corsa incastrata tra le lamiere di protezione. In quest’occasione divaricate, un po’ come si fa con un apriscatole proprio dall’Halo di Grosjean, capace di resistere a uno stress pazzesco – negli anni il sistema si è rinforzato ulteriormente passando dai 7 kg iniziali ai 9 attuali – e di proteggere come meglio non avrebbe potuto fare il casco del pilota. E non è un caso che proprio Romain abbia voluto ricordare, nel suo primo messaggio social dall’ospedale di Manama, l’importanza di questo progresso tecnologico: “All’inizio non ero un fan di Halo, ma credo che sia stata la miglior innovazione introdotta negli ultimi anni in Formula 1. Se non l’avessi avuto, oggi non sarei qui a parlarne”. Un incidente, insomma, che dovrebbe mettere definitivamente la parola fine alla polemica tra i sostenitori e i detrattori del dispositivo, consentendoci di classificare alla stregua dei terrapiattisti quei pochi che ancora blaterano di estetica e utilità. Nell’attesa di qualche sistema di protezione ancora più efficiente e persino più gradevole alla vista, ci teniamo stretto questo brutto amico che, tra F1 e categorie minori, ha dimostrato di saper assolvere benissimo al compito che gli è stato affidato.  

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IL GUARDRAIL SOTTO INDAGINE: SI POTEVA FARE MEGLIO? NO. E LO DICONO GLI ESPERTI…

Dopo aver visto le immagini del botto di Grosjean, nel corso della nostra consueta video analisi in diretta Instagram si era ipotizzato che il guardrail forse non avesse funzionato a dovere, considerando che la Haas si è spezzata in due, l’esplosione e la severità dell’angolo di impatto. Ma chi scrive è solo un semplice osservatore e di progettazione di circuiti ne sa quanto di fisica nucleare. E, cioè, nulla. Per questo motivo, il primo pensiero stamattina è stato quello di chiamare Jarno Zaffelli – nostro graditissimo ospite nella puntata 51 di RadioBox, qui per chi se la fosse persa – che, con il suo Studio Dromo, i tracciati li progetta, modifica e rinnova ormai da anni ponendosi come unica vera alternativa credibile e autorevole all’archistar Hermann Tilke. Una telefonata necessaria per capire, da una voce competente, come mai il guardrail fosse posizionato in quel modo e come mai non ci fossero muri di gomma o altri materiali (es, le barriere Tecpro) a proteggere Grosjean.

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Zaffelli ha esordito spiegando che quanto accaduto ieri rientra nella casistica dell’incidente assolutamente imprevedibile e che, in quanto tale, potrebbe dunque verificarsi in ogni punto della pista. Non si parla, in sostanza, del posizionamento di una barriera in fondo a una staccata dove c’è maggiore probabilità di assistere a incidenti, ma di un guardrail che corre di fianco a un tratto rettilineo. Circa l’angolazione, poi, anche quella non è lasciata al caso: Tilke l’ha posizionata in quel modo e non avrebbe potuto fare altrimenti, perché funzionale alla sicurezza di uno dei layout corti della pista di Sakhir. È anche evidente però come la severità dello schianto, che magari avrebbe avuto conseguenze meno spettacolari se si fosse verificato 30 metri più avanti (dove il guardrail è parallelo alla pista), sia dipesa proprio dall’angolo di impatto.

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Ed è qui che entra in gioco proprio la barriera, capace di svolgere alla perfezione il mestiere per il quale è stata progettata. In un guardrail di quel tipo, sono principalmente i piloni di sostegno piantati nel terreno ad assorbire la forza dell’urto: il primo è stato divelto dall’impatto con la monoposto che si è spezzata proprio dietro la cellula di sicurezza; il secondo si è piegato, mentre il terzo ha resistito, facendo da perno e arrestando la corsa della Haas, poi incastrata tra le lamiere. Esattamente il modo in cui ci si aspetta che risponda una protezione del genere a un impatto di questo tipo. Ed è la risposta all’ultima domanda a farci capire definitivamente come, dinanzi a un incidente così violento, sia forse ingiusto limitarsi a parlare di fortuna o di miracoli: “Le barriere? in quel punto, le lascerei così come sono state progettate originariamente. Non aggiungerei gomme, non cambierei l’angolo… Se oggi parliamo di pericolo scampato, è perché tutti i sistemi di sicurezza, Halo incluso che ha avuto un ruolo determinante nell’evitare che il pilota perdesse conoscenza riuscendo a uscire in fretta dall’abitacolo, hanno funzionato esattamente come avrebbero dovuto funzionare”. Un miracolo sì, ma di quel Dio Progresso che, in termini di sicurezza, cerca di lasciare quanto meno spazio possibile alla casualità.


Pubblicato da Salvo Sardina, 30/11/2020
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