Da Pune, India, arriva una scossa che si farà sentire fino a Mattighofen. Bajaj Auto, che già detiene quasi metà di KTM, prepara una cura dimagrante pesante per la Casa austriaca: taglio dei costi oltre il 50%, in particolare nelle spese di struttura. Dito puntato contro i ''colletti bianchi''. Tradotto: via gli sprechi, ma senza toccare chi le moto le costruisce davvero.

Manager che gestiscono... manager
A confermarlo è Rajiv Bajaj, amministratore delegato del gruppo: “Abbiamo individuato margini per ridurre gli overhead di più del 50%, toccando R&D, marketing, operations e amministrazione. Dei 4.000 dipendenti KTM, solo 1.000 lavorano in produzione. Gli altri 3.000 sono impiegati. È un po’ curioso, perché sono i ''colletti blu'' a costruire le moto, non certo gli uffici”.
Il piano, ha spiegato Bajaj, non mira a tagliare posti in fabbrica, ma a razionalizzare l’area manageriale, dove i costi sono più alti. L’azienda vuole ridurre quella che definisce “burocrazia improduttiva”, prendendo ispirazione – con un sorriso – da una frase di Mark Zuckerberg: “Manager che gestiscono manager che gestiscono manager… che gestiscono chi lavora davvero.”
Una KTM “a trazione indiana”
Questa operazione arriva mentre Bajaj Auto si prepara a prendere il controllo totale di KTM, dopo aver lanciato un piano di salvataggio da 800 milioni di euro per risanare i conti del marchio austriaco, in difficoltà dalla fine del 2024.
Di questi, 200 milioni sono già stati investiti, e un ulteriore prestito da 566 milioni è stato garantito. L’ok definitivo da parte della Commissione Europea è atteso a breve.
Parallelamente, è in corso un rinnovamento profondo del management: “Non è un problema dei dipendenti KTM, ma delle vecchie gestioni. La maggior parte di quei manager oggi non c’è più,” ha spiegato Bajaj.
Al loro posto, un team misto: veterani KTM e nuove figure chiave, tra cui un nuovo CFO (Direttore Finanziario) e un CHRO (Risorse Umane), per rimettere ordine nei conti e nei corridoi.

Troppa fame di crescita: la vera causa del tracollo
A detta di Bajaj, il tracollo KTM era nato da una combinazione tossica di errori gestionali, espansioni avventate e cattiva governance: “Tre forme diverse di avidità aziendale”, dice.
Produzione eccessiva, incursioni in settori non core come le e-bike elettriche e qualche leggerezza nei controlli interni avrebbero minato le fondamenta del marchio.
Ora l’obiettivo è ricostruire la fiducia di clienti, concessionari e investitori, restituendo a KTM il suo DNA di marchio agile, tecnico e autenticamente sportivo.
E i segnali dai mercati globali alimentano l'ottimismo: KTM India cresce del 70% anno su anno, le esportazioni sono tornate su livelli normali e perfino negli Stati Uniti, dove un dazio del 50% avrebbe scoraggiato chiunque, Bajaj non molla.
“Assorbiamo i costi, ma continuiamo a esportare con un EBITDA superiore alla media del gruppo. È il vantaggio della supply chain indiana,” sottolinea il CEO.
Fonte: CNBC





