La presentazione italiana dei Dacia Sandriders, tenutasi venerdì 14 novembre a Milano, è stata molto più dell'unveiling di squadra: un’immersione totale nel cuore del Rally Raid. Due workshop: uno sulla navigazione con Edouard Boulanger e Pablo Moreno, l’altro sulla preparazione fisica con Cristina Gutierrez, hanno mostrato cosa significa affrontare una gara estrema come la Dakar. Boulanger ha ricordato che il navigatore è «non un semplice copilota, ma un secondo pilota», e che il suo lavoro è un mix continuo di “mente, mani e cuore”. La mattinata ha rivelato come tutto ciò che accade a bordo, dalla gestione degli strumenti al controllo dello stress, sia parte di un equilibrio delicatissimo.
Il mestiere del navigatore: un computer umano in abitacolo
Nel workshop tecnico, Boulanger e Moreno hanno raccontato un mestiere che, per complessità, ricorda il funzionamento di “un sistema operativo”. Il navigatore processa dati in tempo reale, deve anticipare l’imprevisto e gestire logistica, meccanica, ergonomia e concentrazione costante, per evitare di far ''arrabbiare'' (non è stato questo il termine utilizzato da Boulanger) i pilota. Prima della gara, tutto viene preparato nei minimi dettagli: analisi della Rally Guide, studio dei percorsi su Google Earth, controllo dei regolamenti e pianificazione dei “MUST” giornalieri. In abitacolo i suoi strumenti sono il roadbook con 164 abbreviazioni FIA e il tablet che offre velocità reale, waypoint validati, distanza totale e parziale, lista dei controlli e indicazioni di rotta. «Preparare il pilota all’imprevisto è il cuore del mio lavoro», ha spiegato Boulanger. «Le informazioni appaiono sul tableta 140 metri dal punto in cui passeremo, e nei pochissimi secondi che impieghiamo a percorrerli, devo apprendere l'informazione e capire se darla o meno al pilota». Uno stress continuo.
Dal roadbook alle emergenze: vivere e sopravvivere in gara
Durante la Dakar, il ruolo del navigatore è una maratona mentale e fisica che dura ore. Le azioni vitali da ricordare sono molte: leggere il roadbook, vedere lontano per anticipare, ascoltare rumori e interfono, pensare per decidere, scrivere per non dimenticare, mangiare e bere costantemente per evitare il crollo energetico. «Non ci si ferma, mai», ha sintetizzato Moreno parlando delle esigenze fisiologiche in corsa. In caso di emergenza serve la massima efficienza: conoscere il Disaster Manual da 60 pagine, nominare correttamente ogni parte, concordare i ricambi, sapere usare gli attrezzi giusti e comunicare con telefoni satellitari che “non sono smartphone”. Tutto questo accompagnato da debriefing serali dettagliati con ingegneri e meccanici per pianificare il giorno successivo.
Preparazione fisica e mentale: la ricetta di Cristina Gutierrez
Nel secondo workshop, la pilota Cristina Gutierrez ha mostrato il lato umano e fisico del Rally Raid, quello che spesso non si vede. Per affrontare tre settimane di stress fisico e mentale, serve una routine precisa: «L’allenamento è un modo di vivere», ha raccontato, spiegando che l’obiettivo è sentirsi forti, liberi e felici. Cristina alterna resistenza, forza e stabilità, ama la bici da corsa e la montagna, e segue una dieta equilibrata ma non rigida. Per la mente si affida a yoga, Pilates e tecniche di respirazione, fondamentali per mantenere lucidità nei momenti più duri. Recupero e sonno? Prioritari: «Dormire in silenzio… non è mai abbastanza». Durante la gara deve evitare sprechi di energia, rimanere idratata, mangiare bene e affidarsi ai fisioterapisti della squadra.
Una lezione preziosa dal mondo dei Sandriders
La mattinata milanese si è rivelata un viaggio nell’essenza del Rally Raid: una disciplina che richiede precisione, conoscenza, preparazione e un equilibrio mentale fuori dal comune. Dai navigatori che diventano “computer umani” ai piloti che lavorano su corpo e mente come atleti d’élite, è chiaro che la Dakar non si vince solo con un’auto veloce. Non basta un buon pilota: si vince con metodo, con strategie studiate e con un team sincronizzato. I Dacia Sandriders lo hanno mostrato senza filtri: dietro i 5.000 km del rally più duro al mondo c’è un universo di dettagli, decisioni e gesti che trasformano un equipaggio in una squadra capace di affrontare qualsiasi deserto.









