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Formula 1: due anni senza Jules Bianchi


Avatar di Marco Congiu , il 17/07/17

6 anni fa - Due anni fa, Jules Bianchi si spegneva a Nizza dopo l'incidente di Suzuka

Formula 1: due anni senza Jules Bianchi

Sono già passati due anni da quando Jules Bianchi ci ha lasciato. Cerchiamo di ricordare il pilota francese di scuola Ferrari

GONE, BUT NEVER FORGOTTEN Sembra ieri che il mondo della Formula 1 e del Motorsport piangeva la scomparsa di Jules Bianchi. Il pilota Marussia, vittima di uno sciagurato incidente il 5 ottobre 2014 durante il Gran Premio del Giappone, non riprese mai conoscenza, venendo strappato all'affetto dei suoi cari il 17 luglio 2015, dopo essere stato trasportato nuovamente a Nizza, sua città natale. Ma basta con la vuota retorica, proviamo a capire chi era questo ragazzo dal futuro luminoso e dal sorriso triste.
 
RISULTATO EROICO Riavvolgiamo per un attimo le lancette della storia. Torniamo, con la memoria, al Gran Premio di Monaco del 25 maggio 2014. Bianchi, con la sua Marussia n.17, disputa una gara davvero d'altri tempi. La sua monoposto motorizzata Ferrari è, senza ombra di dubbio, una delle monoposto più lente sullo schieramento di quella stagione, con il telaio 2013 adattato in maniera rudimentale alle nuove regole introdotte quella stagione. Siamo alla sesta gara della stagione, ma le speranze di artigliare dei punti in ottica mondiale che garantirebbero la salvezza economica, sono ridotte a un lumicino destinato a spegnersi molto velocemente. Una serie di fortunati eventi - in un tracciato cittadino tortuoso come quello di Monte Carlo la fortuna gioca sempre un ruolo decisivo, dubitate da chi vi dice il contrario - però, mette Jules e la sua Marussia in ottava posizione, dopo una gara condotta con il coltello tra i denti. Bianchi porta a casa un inaspettato nono posto - dopo la penalizzazione per aver scontato uno stop&go in regime di safety car - che per il Team Marussia-Ferrari vale davvero come l'ossigeno. C'è chi giura, ancora oggi, che la festa di Lewis Hamilton, vincitore di giornata, fosse stata nulla in confronto a quella che i meccanici riservarono a Bianchi la domenica sera.
 
LA FERRARI SCEGLIE VETTEL Che il Gran Premio del Giappone sarebbe stato flagellato dalla coda di un tifone, era un aspetto noto almeno dal giovedì mattina. Lo ricordo bene perché, all'epoca, occuparmi di Formula 1 era il mestiere della mia vita. I bollettini arrivavano rapidi e puntuali, almeno due al giorno. Tra di noi si storceva il naso, consapevoli del fatto che, con la partenza ritardata rispetto gli anni d'oro della corsa per favorire l'audience del pubblico europeo, si sarebbe andati incontro ad una possibile chiusura anticipata dell'evento, dettata dalla poca visibilità. Per Bianchi quel fine settimana iniziò ancora in maniera peggiore. Era poco prima dell'alba di sabato, ora italiana, quando la Ferrari annunciava al mondo di aver rescisso il contratto con Fernando Alonso per rimpiazzarlo con Sebatian Vettel, reduce da una deludente stagione in Red Bull dopo quattro titoli mondiali consecutivi, oscurato dall'astro nascente Daniel Ricciardo. Bianchi, che nel sedile Ferrari giustamente ci sperava a fronte di prestazioni incoraggianti - nono posto di Monaco in primis - e sopratutto per essere la stella più luminosa della Ferrari Driver Academy, il vivaio di piloti della scuderia di Maranello, sarebbe stato parcheggiato almeno un'altra stagione alla Sauber, grazie al vincolo che il Cavallino poteva esercitare con il team elvetico come fornitore di motori.
 
UNA GARA TRAGICA Come da pronostico, la corsa parte sotto il diluvio. Dopo il primo giro dietro la safety car, Marcus Ericsson va in testacoda. L'asfalto non drena più l'acqua, così la direzione gara fa rientrare tutti ai box. Passato qualche minuto, si riparte dietro la vettura di sicurezza: dieci giri prima di iniziare la gara vera. Quando la pista sembra asciugarsi, arriva un secondo scroscio d'acqua. Forte. La Sauber di Adrian Sutil esce di strada nel quarantunesimo giro alla curva Dunlop. Doppia bandiera gialla, obbligo dei piloti di rallentare, Un trattore si avvicina nella via di fuga per spostare la monoposto di Sutil: era una prassi comune sino a due anni fa, non si erano mai verificati problemi di alcun tipo con una procedura simile. Un fulmine rosso, bianco e nero colpisce il mezzo pesante. Lo fa alzare di diversi metri. È la Marussia MR03 di Jules Bianchi. 
 
LE SPERANZE, POI IL BUIO Sono attimi di stallo. Nessuno, salvo la direzione gara, è a conoscenza di cosa sia successo. Vengono esposte la bandiera rossa e la bandiera a scacchi. Il Gran Premio del Giappone termina con la vittoria di Hamilton davanti a Rosberg e Vettel. Si, ma cosa sta succedendo? Manca una vettura all'appello, il pilota non risponde. È Bianchi. Nessuno sa ancora cosa gli sia successo, le voci si rincorrono. C'è chi dice si sia ritirato per un problema tecnico e sia stato investito da un mezzo pesante, altri dicono che abbia avuto un malore. Quello è certo è che il pilota viene trasportato in ambulanza scortato dalla polizia a velocità folle al vicino ospedale di Yokkaichi, dove i medici lo operano d'urgenza. Jules è in coma. Il vero dramma, però, arriva per tutti il martedì, quando su youtube trapela il video dell'incidente. Le immagini sono sconvolgenti. Le speranze sono ridotte al lumicino. Jules resiste da ottobre a luglio. Il tempo di tornare a Nizza, dove, avvolto dall'amore dei suoi cari e dall'affetto dei anti tifosi e appassionati, si spegne il 17 luglio di due anni fa. 17, come il suo numero di gara. 17, il numero che la Formula 1 non assegnerà più a nessun pilota in segno di rispetto.
 
LA FORMULA 1 SI EVOLVE La tragedia di Jules Bianchi, come tutti gli incidenti della storia della Formula 1, ha insegnato qualcosa alla categoria.  Viene introdotta la Virtual Safety Car, si studiano soluzioni per proteggere la testa dei piloti - Halo e Shield su tutti, ma non è ancora detta l'ultima parola - e, soprattutto, non si vedono più trattori a spostare monoposto durante la gara. L'aspetto che più mette tristezza, però, è legato a un mio ricordo personale di Bianchi. A Imola, per i vent'anni dalla scomparsa del più grande di tutti, Ayrton Senna, c'era anche lui. «Dobbiamo essere grati a Senna. Lui è stato l'ultimo a dare la vita nel nostro sport. Dopo quello che è successo a lui, le monoposto hanno raggiunto livelli di sicurezza incredibili.»

Pubblicato da Marco Congiu, 17/07/2017
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