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Editoriale

Volkswagen: "Accorciare il time-to-market". Perché fa bene (a provarci)


Avatar di Lorenzo Centenari , il 10/09/23

7 mesi fa - Una mossa per contrastare le più “agili” aziende cinesi. Rischio? Opportunità

Volkswagen dimezza time-to-market nuove auto. "Colpa" dei cinesi
Ridurre i tempi di sviluppo delle nuove auto a 36 mesi per contrastare le più “agili” aziende cinesi. Un rischio? Il precedente Golf

Dal foglio bianco all'automobile fatta è finita, il passo è tutto fuorché breve. Anni interi di bozzetti, di ricerche di mercato, studi sulla fattibilità, progetti che abortiscono a metà dell'opera, e poi via via prototipi, test in laboratorio, test su strada. A quanto ammonta, mediamente, il cosiddetto time-to-market di un nuovo modello? Per Volkswagen, a circa 54 mesi, ovvero quattro anni e mezzo. Troppi, serve accelerare i tempi. La nuova ''stagionatura'', d'ora in poi, sarà a 36 mesi come il grana. La ragione si racchiude in quattro lettere: Cina. Ci spieghiamo meglio e proponiamo anche la nostra chiave di lettura.

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APRIPISTA ID.2 La notizia è dunque che Volkswagen sta cercando di ridurre i tempi di sviluppo delle nuove auto da 54 mesi a 36 mesi per tenere il passo con il ritmo di sviluppo più rapido dei rivali cinesi. Come riporta Autocar UK, intervenendo all'IAA Mobility di Monaco il responsabile dello Sviluppo Tecnico Volkswagen Kai Grunitz ha affermato che il primo dei tre modelli pilota che lavoreranno secondo il nuovo ciclo di sviluppo di 36 mesi sarà l'elettrica VW ID.2. I primi schizzi di design risalgono a dicembre dello scorso anno: secondo i piani, ID.2 sarà perciò in strada entro la fine del 2025.

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IL TAGLIA-TEST “I concorrenti cinesi dimostrano che l'impresa è fattibile. Abbiamo già idee concrete su come procedere”, sostiene Grunitz. Volkswagen dovrà cioè equipaggiarsi di ''nuovi strumenti di simulazione e stabilire nuove modalità per convalidare il lavoro di sviluppo'', rimuovendo varie convalide su strada del lavoro di simulazione, riducendo il numero di cicli di test e tagliando i test a basse temperature da due o tre inverni a uno solo. Non resta che mettersi all'opera. Nessuna controindicazione, giusto? No, è il contrario, gli incidenti di percorso sono dietro l'angolo.

MODELLO BYD ''Cicli di sviluppo più brevi comportano rischi”, ammette Grunitz, “non puoi sapere dove andrai a finire quando inizi il percorso. In Germania abbiamo linee chiare su ciò che vogliamo, soprattutto in Volkswagen, e non vogliamo intraprendere un processo di sviluppo con alcun rischio''. Ma in fondo, ogni attività d'impresa qualche rischio lo prevede sempre. ''I nostri concorrenti in Cina sono più agili: se succede qualcosa, trovano una soluzione, e questo è proprio ciò che dovremmo iniziare a fare anche in Germania. È un approccio diverso, ma possibile'', confida Grunitz. Il marchio cinese che al momento meglio rispecchia un modello di progettazione di auto nuove (e di buona qualità) in tempi più brevi, secondo Grunitz, sarebbe BYD. ''Hanno una vera strategia di piattaforma, costi bassi, una batteria davvero buona e stanno costruendo ottimi siti in tutto il mondo''.

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FANTASMA GOLF 8 Ridurre i cicli di test, conservare alti standard di qualità, concorrere con la filosofia lean development della quale i cinesi sono maestri. La sfida è lanciata, ora Volkswagen lavorerà anche a più stretto contatto con i fornitori per integrare le rispettive tecnologie e idee nei propri nuovi modelli, piuttosto che “volere sviluppare tutto da soli”. VW cercherà inoltre di non iniziare da zero ogni volta che sviluppa un’auto nuova, bensì cercherà di conservare almeno il 70-80% di un modello tra le generazioni. Parola d'ordine, non ripetere le infelici esperienze di VW Golf 8 e di VW ID.3, modelli cioè che Grunitz riconosce essere stati afflitti da ''migliaia di guasti'' quando inizialmente arrivavano ai clienti. Tutto ciò pur rispettando il ''vecchio'' ciclo di 54 mesi. 

COL FIATO SUL COLLO Un paio di considerazioni. Le affermazioni di un top manager Volkswagen confermano quanto già ovvio, ovvero quanto la Cina sia intesa dall'industria europea come una minaccia sempre più ansiogena, tanto da affrettare un'accelerazione non solo della transizione energetica verso l'elettrificazione, territorio nel quale il Dragone parte con un congenito vantaggio competitivo (maggiori economie di scala, catena logistica delle materie prime già matura grazie ad esempio a più strette relazioni con Paesi africani chiave), ma anche ripensare paradigmi storici, come il percorso time-to-market, sino ad oggi quasi mai messo in discussione. Al tempo stesso, proprio l'imporsi dell'elettrico potrebbe favorire il cambio di passo e coincidere con il momento giusto per rivedere schemi forse ormai troppo rigidi per un mercato molto più dinamico di un tempo. Perché diciamo questo?

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PIÙ DIGITAL, PIÙ MINIMAL Lo diciamo perché l'elettrico, rispetto all'auto con motore termico, ha il vantaggio di una più semplice standardizzazione di motori, piattaforme e batterie: almeno una volta che una specifica tecnologia raggiunga lo stato dell'arte (oggi, le batterie a ioni di litio, domani le batterie allo stato solido?), il processo di ''riciclo'' di un powertrain (lo ricordiamo, senza trasmissione) progettato per un determinato modello è relativamente più agile. Spesso, è sufficiente intervenire lato software su un'unità preesistente, piuttosto che ripartire da zero. Al massimo, aggiornare alcune proprietà chimiche, vedi già l'esempio del nuovo motore APP550 che a breve equipaggerà ID.4 e ID.5. Idem dicasi, per certi versi, per le tecnologie di bordo: il modello, già in fase di collaudo avanzato, degli aggiornamenti costanti durante il ciclo vita di un'applicazione di infotainment permette di avanzare di riscrivere da capo complessi algoritmi. Un po' come il passaggio tra i sistemi MIB3 e MIB4.

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ORA O MAI PIÙ Al netto dei rischi intrinsechi che asciugare i tempi di ''cottura'' di un nuovo modello implica per ragioni logiche, l'ora sembra insomma propizia - per Volkswagen, così come per qualsiasi altro brand occidentale - per correre un rischio calcolato e ridurre il gap con gli ''sprinter'' cinesi. Non ci sembra un azzardo, bensì una possibilità reale. Se in futuro, qualità e time-to-market si equivarranno, la differenza la faranno i costi, lo stile, la genialità. Materia nella quale gli europei (Italia in primis) non soffrono di alcun complesso di inferiorità. Semmai, vale il contrario, oggi come - noi crediamo - tra cent'anni. 


Pubblicato da Lorenzo Centenari, 10/09/2023
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