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Scandalo emissioni plug-in hybrid inquinano più del dichiarato
Editoriale

Emissioni: Plug-in hybrid nel mirino


Avatar di Emanuele Colombo , il 28/11/20

3 anni fa - Scandalo emissioni: sotto esame la CO2 prodotta dai PHEV

L'ente Transport & Environment accusa: scandalo emissioni per le auto plug-in hybrid. Siamo di fronte a un nuovo dieselgate?

CO2 IN ECCESSO ''I governi dovrebbero porre fine ai sussidi e alle agevolazioni fiscali per gli ibridi plug-in, protagonisti di un altro scandalo delle emissioni climalteranti'': drastica la posizione assunta dall'ente europeo indipendente Transport & Environment dopo che le tre auto plug-in più diffuse nel 2020, testati fuori dai laboratori, hanno prodotto più CO2 del previsto. Nei test che T&E ha commissionato alla società specializzata Emissions Analytics, i veicoli esaminati ''hanno emesso tra il 28-89% in più di CO2 rispetto a quanto pubblicizzato, con batteria completamente carica e in condizioni ottimali. Con la batteria scarica, invece, hanno emesso dalle tre alle otto volte in più rispetto ai valori ufficiali''. Se poi queste auto vengono guidate adottando la modalità per ricaricare le batterie attraverso il motore termico - così da poter affrontare a emissioni zero una successiva ZTL, per esempio - le emissioni registrate sono state da tre a 12 volte più elevate del dichiarato.

SPRECO DI FONDI Secondo T&E le case automobilistiche sosterrebbero il messaggio fuorviante che i PHEV in vendita oggi sono adatti per i lunghi viaggi, mentre devono essere ricaricati molto più frequentemente rispetto agli EV veri e propri. “I test effettuati confermano che le auto ibride plug-in sono solo finte auto elettriche che fanno molto poco per il clima, ricevendo al contempo un’enorme quantità di sussidi. La Finanziaria 2021 dovrebbe mettere fine a questo spreco di soldi pubblici, che sarebbero molto meglio utilizzati se investiti nello sviluppo di una capillare ed efficiente rete di ricarica per veicoli elettrici puri. Questo è ciò di cui l’Italia ha bisogno ora per permettere alle soluzioni realmente a zero emissioni di accedere al mercato di massa ”, dice Veronica Aneris, direttrice per l’Italia di T&E. Giusto o sbagliato?

L'ESPERIENZA DIRETTA Il punto è che le auto plug-in hybrid non sono e non vogliono essere auto elettriche. Il senso di questo tipo di automobili è poter percorrere in parte o in toto il commuting quotidiano senza produrre emissioni locali o quasi, e senza rendere difficoltoso il rifornimento durante gli occasionali lunghi spostamenti. E in questo le auto plug-in hybrid che abbiamo avuto per le mani non si sono rivelate fuorvianti. Durante la prova della Ford Kuga Plug-in Hybrid, il test della Jeep Compass 4xe, la guida della BMW 330e 2020 o della Volvo V90 T6 Recharge, una volta selezionata la modalità di guida puramente elettrica, il motore termico non si è acceso fino all'esaurimento dell'autonomia, che abbiamo riscontrato vicinissima al dato dichiarato ufficialmente. CO2 zero, quindi, tanto per essere chiari. Vero è, come sottolineato anche nelle recensioni, che nei consumi e nelle emissioni dichiarate e misurate nei cicli di omologazione pesano tantissimo i chilometri fatti esclusivamente a batterie e che i valori si fanno via via più elevati - anche di molto - man mano che le ricariche si diradano e la strada viene percorsa in modalità ibrida.

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IL NODO DELL'ENERGIA GRATIS In questo senso sarebbe forse opportuno, per la massima chiarezza, rivedere i cicli di omologazione per questo tipo di veicoli. Come il passaggio dalle procedure NEDC a quelle WLTP ha portato a consumi dichiarati più vicini all'esperienza quotidiana degli utenti delle auto tradizionali, così ora sarebbe necessario smettere di considerare ''gratis'' i chilometri fatti con l'elettricità contenuta nella batteria. E non intendo gratis per il portafoglio, ma ai fini di consumi ed emissioni. Infatti, i test WLTP per i PHEV iniziano con la batteria completamente carica e vengono ripetuti finché questa non va a zero. Solo l'ultima ripetizione del test viene effettuata con l'auto scarica e i valori finali si calcolano in base al rapporto tra l'autonomia elettrica e quella totale (fonte: VDA). In questa successione di prove, l'energia necessaria per la prima ricarica completa non è conteggiata, ma risulta comunque consumata dal veicolo e quindi, a rigore, corrisponde a dei litri di benzina virtuali che non figurano nel consumo dichiarato. Energia che però pesa sull'ambiente, giacché in Italia solo per il 17,8% è prodotta da fonti rinnovabili, stando al rapporto 2018 del Gestore dei Servizi Energetici: con emissioni che, pur prodotte lontano da dove l'auto viene impiegata, non sono affatto nulle (e l'effetto serra di cui la CO2 è corresponsabile se ne infischia se le emissioni sono in campagna o nel centro storico, per inciso).

I TEST VALIDI PER LE AUTO TRADIZIONALI LO SONO PER I PHEV? Del resto anche lo studio di T&E conclude affermando: ''Se i PHEV devono favorire la transizione verso una mobilità a emissioni zero nel decennio 2020- 2030, servono modifiche urgenti alle leggi dell'UE, in particolare ai test e ai crediti di CO2 nello standard dei veicoli, per assicurare che i PHEV immessi sul mercato dell'UE non siano solo 'veicoli di conformità'. Le cifre ufficiali di CO2 e consumo di carburante devono riflettere l'utilizzo effettivo di queste auto nel mondo reale''. E qui sta il punto, o almeno un punto importante: qual è l'uso reale? Stabilire a priori un ciclo di omologazione vuole sempre dire prefissare un'approssimazione: possiamo decidere che questa non sia fedele alla realtà, ma è inevitabile che, determinate le regole del gioco, poi i giocatori vi si attengano. Senza con questo voler legittimare i cosiddetti defeat device, per alterare le rilevazioni in fase di test, che sono stati la pietra dello scandalo del Dieselgate: sia ben chiaro. 

UN UTILIZZO DELETERIO La questione è forse da porre sull'aumento vertiginoso nelle vendite delle auto plug-in in Europa, che non sempre finiscono nelle mani di chi ne fa un uso idoneo. È chiaro che se chi le acquista poi non le ricarica quanto dovrebbe per coprire la maggior parte del fabbisogno giornaliero, un'ibrida plug-in perde qualunque efficacia. E oltre che nocivo per l'ambiente, può rivelarsi ancora più anti economico di quanto l'utilizzatore possa sospettare: non solo per la spesa alla pompa, ma per un eventuale precoce deterioramento della batteria, che per questioni chimiche non gradisce di rimanere scarica a lungo. Oltre al danno, la beffa.

QUESTIONE DI PROSPETTIVE Quanto all'opportunità di concedere incentivi e agevolazioni alle plug-in hybrid, la scelta è meramente politica e tiene conto non solo dello sperato beneficio per l'ambiente, ma tende anche a salvaguardare in modo strategico l'occupazione del comparto automobilistico e del relativo indotto. In Europa, il settore automotive dà lavoro a 14 milioni di persone, tra attività dirette e indirette, e nella sola Italia genera un fatturato di 106 miliardi di euro, stando a uno studio di EY, CDP e Luiss Business School pubblicato a giugno 2020. Giusto sottolineare che l'auto elettrica e la sua rete di ricarica richiedono ancora parecchi investimenti per far decollare un nuovo modello di mobilità, proprio come auspicato da T&E. Ma i tempi che servono per concretizzare le opere necessarie non sono immediati: a prescindere dalla quantità di denaro che vi si impegna. E rinunciare all'uovo di oggi per la gallina di domani rischia nel breve periodo pesanti ricadute sull'occupazione e sull'economia tutta. Per opportune riflessioni, allego gli studi citati: scaricabili in formato PDF cliccando sulle icone in fondo all'articolo.


Pubblicato da Emanuele Colombo, 28/11/2020
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