Bada a come parli, o corri il rischio che il tuo iPhone metta accidentalmente in moto l'auto del vicino. E ti faccia sorgere il dubbio che la stessa cosa, in un futuro neanche troppo immaginario, potrebbe accadere a soggetti invertiti.
Cioè che estranei possano rubarti l'auto senza neanche alzarsi dal divano. Solo con un tap sul display di uno smartphone. Macché tap: un comando vocale.
Forse hai già letto qualcosa in giro per il web, ma riassumiamo pure l'episodio. Poi condividiamo una piccola riflessione.
Che cosa è successo
È successo che a inizio ottobre è emerso in rete un video che mostra una Xiaomi SU7 che, parcheggiata con il conducente dentro un negozio, comincia a muoversi senza nessuno al volante. Segue la scena tragicomica del proprietario che rincorre l'auto.
Segnalato l’evento ai tecnici Xiaomi, il Costruttore dichiara in seguito che l’auto si è mossa perché ha ricevuto un comando valido di parcheggio remoto proveniente da un dispositivo collegato. Quale dispositivo? L'iPhone del proprietario o l'iPhone della donna che è vicino a lui, a sua volta ''loggato'' alla Xiaomi?
Sta di fatto che, dalla verifiche, Xiaomi sostiene che tutti i sistemi (del veicolo e dello smartphone) avrebbero funzionato correttamente, e che non risulta alcuna anomalia del firmware del veicolo.
In sintesi: Xiaomi attribuisce la “fuga autonoma” dell’auto a un comando valido proveniente da un iPhone collegato. Ma un comando - ecco il punto - probabilmente richiesto involontariamente, o scatenato da un’interazione imprevista.
Perché l'episodio è rilevante
Il caso rappresenta un worst-case scenario, ma introduce una serie di rischi concreti e potenziali legati alla connettività avanzata fra auto e smartphone.
Quando lo smartphone può inviare comandi al veicolo (parcheggio remoto, apertura porte, attivazione motore, etc.), c’è il rischio che un input vocale venga interpretato male, un tocco accidentale attivi una funzione, un bug software induca un comando frainteso. Nel caso Xiaomi, sembra che un comando remoto legittimo (ma non intenzionale) sia stato attivato nel momento “sbagliato”.
Malintesi e malintenzionati: l'architettura auto-smartphone richiede numerosi componenti (app sullo smartphone, API tra smartphone e veicolo, moduli di connettività Bluetooth e Wi-Fi, firmware del veicolo, aggiornamenti over-the-air, etc.) e ogni punto è potenzialmente un ingresso per attacchi hacker.
Se la connettività diventa centrale anche per funzioni critiche (acceleratore, sterzo, freni, modalità autonome), un attaccante — o anche un malfunzionamento software — potrebbe in definitiva compromettere la sicurezza del veicolo.
Non è solo teoria: ricerche accademiche e casi reali, in passato, hanno dimostrato come sensori e centraline possano essere effettivamente manipolati da remoto.
Last but not least, il tema privacy. Un’auto connessa genera moltissimi dati: geolocalizzazione, cronologia viaggi, registrazioni vocali, dettagli personali dell’utente. Se la connettività è compromessa, questi dati possono essere copiati, intercettati o usati per sorveglianza (non per il tuo bene).
Morale della favola
Sebbene non dimostri un attacco malevolo, l’episodio Xiaomi mette in luce un rischio reale: quando smartphone e auto diventano strettamente connessi, un semplice comando digitale può tradursi in conseguenze fisiche... analogiche.
Se la connettività non sarà progettata con attenzione, le auto moderne rischiano di diventare veicoli potenzialmente vulnerabili, in cui un errore software o un attacco informatico può trasformarsi in pericolo reale.
Nel frattempo, fai così: sorveglia sempre l'iPhone, non vuoi mai che di nascosto stia prendendo lezioni di guida...