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Guida Michelin

Una vita da ispettore


Avatar Redazionale , il 09/11/10

13 anni fa - La vita in incognito di una ispettrice Michelin raccontata da una protagonista.

La vita in incognito di una ispettrice Michelin raccontata da una protagonista: dal metodo di ricerca al cavolo freddo, dai ristoratori troppo gentili a quelli profondamente sgarbati, dalle sette visite quotidiane  alla pedalata rigeneratrice.

«Per molto tempo, sono andato a letto presto la sera ». Proust iniziava così la sua opera  Alla ricerca del tempo perduto. Quanto a me, ho fantasticato a lungo sul ruolo di ispettore della guida Michelin. Percorrere i paesi, sedermi alla tavola dei più grandi cuochi, lusso e voluttà, gustare i piatti più raffinati… Un’idea fissa: Michelin o niente. Nessun compromesso. E questo ancora prima di capire la realtà del lavoro, le sue esigenze, il suo metodo, le sue regole. Perché non si diventa ispettore Michelin dall’oggi al domani. Proprio il contrario. Siamo ad anni luce dalle facezie comiche e leggere del Louis de Funès pieno di smorfie nel film l’Ala o la coscia? Il film di Claude Zidi aveva il vantaggio di puntare l’indice contro i torti e le sciagure di una cucina industriale, e il difetto di fare una caricatura del lavoro dell’ispettore. Un mestiere fatto di passione, condivisione, caratterizzato da incontri, scoperte, che richiede una vasta gamma di competenze. Ecco un racconto in prima persona.

Chi siamo?
« Non sembra proprio un ispettore! », « Ma quanti anni ha? », « Qual è stato il suo percorso professionale? ». Altrettante riflessioni, sorprese, discorsi curiosi lasciati cadere alla fine di una visita o, senza eleganza, all’inizio. Altrettanti pregiudizi, cliché scalcagnati. Non è l’età che fa la conoscenza del settore alberghiero e della ristorazione. Non esiste nemmeno un modello. Ognuno di noi ha il suo stile, un aspetto snello o più robusto, veste in abiti formali o più semplici, a seconda del luogo. Arriviamo da soli o accompagnati. I miei parenti sono a conoscenza del segreto del mio ruolo, ma per gli altri, nel quotidiano, sono un’altra persona, mi invento un lavoro, una storia, un nome. Insomma, una doppia vita. Per quanto riguarda la vera vita, questa è la mia storia. Golosa fin da piccola, abituata a mangiar bene dai miei genitori, ho imparato in fretta i nomi degli chef, ho divorato i loro libri, ho preso di mira le grandi tavole per poi realizzare il mio giro del « mondo gastronomico ». Un tuffo nell’universo della critica gastronomica ha perfezionato la mia formazione e aumentato notevolmente il mio desiderio: Michelin o niente, lo ripeto!

Orario di lavoro
La mia attività si inserisce innanzitutto in un calendario ben cadenzato. Comincia con una suddivisione del mio paese a scacchiera, con la creazione di blocchi da ripartire tra me e i colleghi. Comincio il primo giro in gennaio: tre settimane sul campo, seguite da una settimana per fare il punto dei vari fascicoli e preparare il prossimo viaggio. Lo stesso ciclo si ripete ogni mese. Valuto il volume delle visite, il tempo necessario, segno gli esercizi sensibili o che potrebbero ricevere una distinzione, i luoghi in cui sostare. Organizzata ma non rigida, devo far fronte agli imprevisti. Prevedo varie destinazioni alternative, se un esercizio è chiuso o completo, o in caso di avverse condizioni meteorologiche, creo itinerari bis...

Istruzioni per l’uso
In una città, visito tutti gli esercizi selezionati. E molti altri. Un grosso lavoro di ricerca fatto a monte, poi sul campo, moltiplicando e ritagliando le fonti di informazione, le visite, i pasti. Non vi è nulla di prestabilito. Mi attivo per cercare gli indirizzi migliori in ogni categoria di confort e prezzo.

Faccio fino a sette visite al giorno, suddivise tra alberghi e ristoranti, piccoli e grandi nomi, arrivando senza appuntamento per non essere attesa. Nessun trattamento di favore. Sul posto rimango da trenta minuti a due ore e mezza. Quanto basta per vedere, dialogare, capire il funzionamento, le evoluzioni, le sfide. Insomma, la vita di un esercizio. Osservo, poi faccio un resoconto. Ad ogni visita il mio rapporto si divide tra informazioni pratiche e una valutazione argomentata.  

Al di là dei miei gusti personali, valuto la qualità della prestazione secondo criteri precisi: accoglienza, aspetto esterno ed interno, attrezzature, preparazione, servizio, funzionamento, atmosfera. Tutti questi elementi caratterizzano il comfort, rappresentato da casette nel caso di un albergo, da forchette nel caso di un ristorante, e annotato in una scala da 1 a 5. Le stesse domande guidano il mio giudizio: « Questo esercizio risponde ai criteri della selezione? E’ stato classificato bene ? Lo consiglierei? »

Tante visite, altrettante accoglienze diverse, più o meno piacevoli, ma significative : « Non la vediamo mai! Non rischiamo certo di ricevere una stella… ». Le prime parole di una proprietaria alla quale mi ero presentata. E ho risposto: « Il fatto che lei non ci veda non significa che non veniamo ». Altri manifestano la loro soddisfazione, il loro entusiasmo, la loro fierezza, vogliono mostrarmi tutto, nei minimi dettagli, le luci alle pareti, i fregi, le tende: « Guardi come è curato l’arredamento, accogliente, autentico. Ha molto fascino. Il nostro obiettivo è ottenere la casetta rossa... »

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A queste visite ufficiali, fatte ogni due anni, si aggiungono quelle che faccio come cliente anonimo, come Signora Rossi, che consuma e paga il conto. Non sempre mi presento alla fine del pasto, talvolta vado via così come sono arrivata: in incognito. Il che mi permette di vivere situazioni comiche. Ricordo una colazione in un posto a Bresse: in un ristorante tradizionale ordino una pollastra alla panna. La proprietaria, che non aveva capito chi ero, mi chiede con grande naturalezza: « Allora, l’ala o la coscia? ». « La coscia! E non scherzo… ».

Un’altra volta, mentre il proprietario vanta rumorosamente la qualità della sua cucina, mi ritrovo di fronte a un cavolo ripieno mezzo freddo. Dopo averglielo fatto notare, torna alla svelta ai fornelli, poi si preoccupa del mio confort, interrogandomi sui miei gusti, le mie occupazioni, chiedendomi « cosa viene a fare la signora da queste parti? ». Finisce per bere un bicchiere seduto a tavola con me, e mi racconta frammenti della sua vita : le sue amanti, le sue gioie, le sue piccole beghe finché... io non tiro fuori il mio biglietto da visita. Diventa livido: « è uno scherzo? Ah... e il cavolo che era freddo.. .È proprio la mia giornata! » Continuando a scusarsi,  mi tira fuori tutto il frigo, i prodotti, toccando il filetto, gli asparagi, pronto a farmi un piatto espresso...

Ma l’accoglienza può anche raggelare. Non sfuggiamo alla realtà: inizio del servizio, lunga attesa immersa nel silenzio, una fila che si allunga mentre il padrone si agita nella sala, spostamento di tavoli e sedie. Dapprima è assente, poi diventa aggressivo: « Se non è contenta può anche andarsene! ». Tutto è fonte di informazioni. Percepisco tutto fin nei minimi dettagli, ancor prima di assaggiare i piatti. Questione di pratica.

La cucina
La cucina viene giudicata a posteriori e senza prendere appunti al ristorante. Bisogna osservare attentamente ogni piatto, gustarlo lentamente per il proprio piacere, esercitare la memoria visiva e gustativa. Per poi fare un resoconto a caldo, quando sono ritornata nella mia auto oppure nella camera d’albergo. Non bisogna ritardare, non c’è tempo da perdere. Descrivo ogni piatto nei dettagli: presentazione, qualità e freschezza dei prodotti, cottura, condimento, raffinatezza ed equilibrio dei sapori. Niente di misterioso, ma alcuni elementi fondamentali spesso vengono dimenticati: una preparazione troppo salata, un prodotto bruciato o cotto solo in alcune zone. Al punto che talvolta mi domando se lo chef assaggia tutti i suoi piatti. Antipasto, pane, burro, caffè… Annoto tutto secondo una scala che va dal livello standard al livello 3 stelle. Creo una scala di valori. La memoria gustativa è pregnante. Questo giudizio razionale traduce anche la mia emozione, il mio piacere, la scoperta di un matrimonio inatteso, una texture, un sapore sconosciuto, un prodotto raro. Uno stupore.  

La medaglia e il suo rovescio
La mia auto aziendale, golosa complice, si riempie di formaggio, vino, miele, altrettante specialità regionali scovate e acquistate dai migliori produttori. Una ricerca ossessiva del buon indirizzo, del buon prodotto, che continua anche nei giorni di riposo, tra due vasche in piscina e furiose pedalate per svuotare il corpo e la mente.  Percorro la città in cui mi trovo in lungo e il largo, moltiplico le soste, qui per comprare il pane, là le spezie, l’olio, le verdure, più in là il cioccolato, una pasticceria... . Mai sazia. Una vera passione!

Essere un ispettore che opera nell’anonimato è un’esperienza particolare . Talvolta ho l’impressione di essere scoperta. Il mio menu viene arricchito da piatti extra, le guarnizioni si moltiplicano, si nobilitano: tartufi, scampi, porcini,  foie gras. Il menù diventa ostentazione. Ma non c’è solo il piatto, anche l’automobile gode di privilegi. Così, una volta ho fatto una visita con un collega e all’uscita abbiamo trovato l’automobile pulita, lucidata, strofinata, come se fosse nuova fiammante! Non ci sono limiti ai salamelecchi. Attenzioni spesso eccessive, sempre inutili, che rompono l’armonia di una serata e l’equilibrio di un pasto.

Alla fine, tutte le decisioni sono collegiali, esaminate caso per caso, discusse e confermate nelle « sedute stelle » in cui ci ritroviamo tutti: ispettori, redattore capo e direttore delle guide Michelin.

Se le stelle sono l’aspetto più mediatico, non rappresentano la parte essenziale della guida, ma solo il 10%. Il mio quotidiano si nutre di piatti semplici. E’ un viaggio attraverso il paese e le sue regioni, alla ricerca dei piccoli indirizzi, ricchi di una cucina di qualità, che talvolta ottengono la distinzione « Bib Gourmand » o di albergo ameno a prezzi contenuti. Quella dell’ispettore è una realtà quotidiana sul campo.

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Stellati GM2011.pdf 209 Kb
BIB gourmand 2011.pdf 143 Kb

Pubblicato da Emmanuelle Maisoneuve, 09/11/2010
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