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La vera storia della Renault 4


Avatar Redazionale , il 27/05/11

12 anni fa -

Versatile, economica e unisex. Mentre il jeans spopolava tra giovani e meno giovani, affermandosi come un'icona del prêt-à-porter, la 4L ne seguiva le orme motorizzando un'intera generazione. Ecco la genesi della Renault 4 così come la racconta Renault.

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Una gamma prêt-à-porter
I primi studi per la Renault 4 iniziano nel 1949 con il progetto 109, direttamente derivato dalla 4 CV, ma più abitabile e un po’ più potente. Il risultato, tuttavia, ha difficoltà ad imporsi. A settembre 1952, gli ingegneri avviano una seconda riflessione sulla sostituzione della 4 CV, basata su due requisiti irrinunciabili: in primo luogo, la necessità di immaginare una quattro posti dalle performance e dai consumi molto simili a quelli della 4 CV. In secondo luogo, un prezzo di vendita fissato a 300.000 franchi francesi. Il servizio indagini di mercato di Renault insiste sulla necessità di proporre il futuro modello in più versioni, in particolare una “berlina popolare, un modello semi-commerciale ed uno commerciale”.

Partendo da questa idea, gli ingegneri si rendono conto di quanto l’architettura della 4 CV e, in particolare, il suo motore posteriore, siano incompatibili con la nozione di modello commerciale. Per risolvere la questione delle tre versioni, Fernand Picard s’interessa alla creazione di un telaio, tipo piattaforma, con un’idea ancora embrionale di carrozzerie interscambiabili. Eppure, l’abbandono della struttura monoscocca – un elemento considerato essenziale per l’alleggerimento dell’auto e la riduzione dei costi di fabbricazione – è accompagnato da una rivoluzione in termini di carrozzeria: la possibilità che il cliente “vesta” la sua auto direttamente dal concessionario.

Con questa politica del prêt-à-porter automobilistico, i rivenditori Renault potrebbero installare, su richiesta dei clienti, gli elementi distintivi della berlina o della versione semi-commerciale e commerciale. Si potrebbe, addirittura, avere in garage una sorta di guardaroba automobilistico e anche creare un sistema di noleggio di carrozzerie o di sostituzione standard, sia per il nuovo sia per l’usato. Si studiano tutte queste ipotesi, tanto più che le nuove materie plastiche potrebbero diventare il materiale di riferimento per le carrozzerie à la carte. Ultimo elemento ma non per importanza, la scelta dell’ ”insieme meccanico che, come scrive Picard, «deve essere smontabile e interscambiabile, il che spinge all’adozione della formula a trazione anteriore». 

È soltanto nel 1954 che Pierre Lefaucheux fa la sua scelta e decide l’industrializzazione del progetto che, nel 1956, diventerà la Dauphine. È a questo punto che il progetto preliminare del 1952 passa alla fase di studio con il n°112, con la missione di sostituire addirittura la 4 CV.

Un’auto polivalente
La scomparsa improvvisa di Pierre Lefaucheux, l'11 febbraio 1955, e la nomina di Pierre Dreyfus a capo della Régie Renault, il 27 marzo, avranno un forte impatto sul progetto di sostituzione della 4 CV. Alto funzionario presso il ministero francese della Produzione Industriale e, in quanto tale, vicepresidente della Régie nazionale dal 1948, Dreyfus conosce tutto di Renault. Il 2 gennaio 1956, Dreyfus fa entrare Yves Georges al Servizio Studi, per affiancare Picard. Più che al confronto tra un giovane diplomato dell'Ecole Polytechnique e un ingegnere esperto, formato alla scuola des Arts & Métiers, questa nomina corrisponde ad una visione più scientifica degli Studi, «alla prevalenza del calcolo e della previsione sul pragmatismo e i test».

Mentre Picard si mette spontaneamente in disparte, Georges e Dreyfus iniziano una feconda collaborazione mettendo a confronto e sintetizzando le idee, aprioristicamente diverse, di un intellettuale e un ingegnere. Dreyfus considera l’automobile con lo sguardo e lo spirito d’analisi di un sociologo ed afferma di essere stupito del fatto che Renault proponga automobili «solo per cittadini», in altri termini automobili da città, mentre Citroën è specializzata in modelli da campagna. Dreyfus si pone anche interrogativi sul conformismo dell’automobile, al punto da contrastarlo apertamente: «L’automobile non deve più limitarsi a dei sedili e un baule. Createmi un volume», suggerisce a Georges.

Dreyfus vuole un’auto adatta ad una società in piena evoluzione, in Francia, ma anche in quei Paesi che saranno, in futuro, i partner dell’Europa dei “Sei”. Ovunque, la popolazione abbandona le campagne, in un ampio movimento in cui la modernità inizia dall’esodo rurale. Questi nuovi cittadini non si insediano nei centri urbani ma si dirigono verso nuovi quartieri che tendono ad estendersi, fino a prolungarsi in periferia. È un nuovo mondo, in cui si addensa una popolazione attiva e si insediano le nuove classi medie. La periferia diventa un nuovo territorio, in parte urbano e in parte rurale, una sorta di città in campagna. La situazione è perfettamente descritta da Dreyfus: è la fine dell’automobile da città, concepita in modo differente da quella per la campagna. Bisogna inventare un’automobile polivalente ma con una polivalenza che non riguarda soltanto il luogo.

L’estensione dell’habitat e l’assenza di reti di trasporto pubblico lasciano posto all’automobile che deve essere uno strumento di lavoro dal lunedì al venerdì, per poi diventare, il sabato e la domenica, l’automobile per la famiglia che parte per il fine settimana o, d’estate, per le vacanze. Resta, infine, un’ultima evoluzione, lenta ma fondamentale, che si accentua nel corso degli anni: il posto e il ruolo della donna all’interno della società. Grazie alla piena occupazione, l’arrivo del secondo salario rivoluziona le categorie sociali e gli schemi familiari accelerando i consumi, tra cui quello automobilistico. Il prodotto, appunto, è adottato dalle donne: non soltanto il numero di patentati tende finalmente a livellarsi tra i sessi, ma le donne utilizzano l’automobile al punto da svolgere un ruolo decisivo nel processo d’acquisto.

Per Dreyfus, l’auto di domani dovrà essere polivalente, per essere fruibile, al tempo stesso, in città e in campagna, durante la settimana come nei week-end, adatta al lavoro come alle vacanze, sia per l’uomo che per la donna. Ed è qui che il termine di auto blue-jeans” assumerà pienamente il suo significato.

Auto blue-jeans e rivoluzione tecnica
L’ ”auto blue-jeans” ribalta le convenzioni, alla stregua dell’omonimo capo di abbigliamento «che si può indossare in qualunque circostanza, se non si hanno pretese snobistiche o di conformismo sociale – spiega Dreyfus – [un capo] che si rende utile in qualunque circostanza, che ti porti dietro dappertutto, che non costa molto, che si può sostituire senza rimpianti…». Pantalone da lavoro prodotto con un’indistruttibile tela denim, il jeans è, di volta in volta, la tuta distribuita agli operai del New Deal negli Stati Uniti, un pantalone popolare e, più tardi, un fenomeno di moda per studenti ed artisti, prima di entrare nel guardaroba femminile. Più ribelle che rivoluzionario, unisex ed egualitario, è l’abito di James Dean come di Marlon Brando e di coloro che se ne appropriano, personalizzandolo con ricami o zampe d’elefante.

L’automobile avrà il suo jeans e Pierre Dreyfus, riprendendo lo studio 112 nel 1956, inizia fissandone il prezzo: 350.000 franchi francesi, non un soldo di più. Il messaggio è talmente chiaro che i progettisti la soprannomineranno direttamente “la 350”. In altri termini, lo studio dell’automobile parte dal suo prezzo: un metodo assolutamente inconsueto a quell’epoca. Da questo vincolo nasce l’idea di conservare il motore 747 cm3 e la trasmissione della Dauphine. L’equipaggiamento interno sarà molto spartano: la 350 sarà economica grazie ad equipaggiamenti essenziali. Per quanto riguarda il design, non sarà al centro delle preoccupazioni e Dreyfus ne fissa lui stesso i limiti: la 350 dovrà essere più accattivante delle concorrenti dirette, ma soprattutto non civettuola come la Dauphine.

Per rendere il modello versatile, la prima idea è il pianale piatto, che agevola le operazioni di carico. Si aggiungono poi, ovviamente, tre elementi: l’assenza di carenatura posteriore, la soglia di carico ribassata al massimo e l’apertura posteriore dell’auto, con quella che viene soprannominata, a quel tempo la porta di servizio”, il futuro portellone. Questo inedito schema architettonico rivoluziona la cultura tecnica di Renault (inserendosi subito dopo il veicolo commerciale Estafette, lanciato nel 1959, la Renault 4 è la prima berlina con ruote anteriori motrici di Renault), ma anche quella dell’automobile. La Régie inventa, infatti, una carrozzeria a due volumi, composta da un vano motore, da una parte e da un insieme baule-abitacolo che diventa uno spazio unico: l’abitabilità è addirittura in grado di evolvere in funzione delle esigenze, grazie alla panchetta posteriore ripiegata che trasforma l’auto da veicolo commerciale a versione familiare.

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Per quanto riguarda il veicolo, solido e adatto ad ogni fondo stradale, indistruttibile come una tela denim, Renault sceglie delle sospensioni indipendenti a barra di torsione che offrono una grande ampiezza di oscillazione, consentendo di avanzare sia sullo sterrato che sulle strade statali. Alla stregua del jeans, che non si stira, la 350 non ha più vincoli di manutenzione: basta a punti di lubrificazione e livello dell’acqua da controllare, grazie alla messa a punto di un circuito di raffreddamento sigillato. Grazie al vaso di espansione (innovazione Renault), che recupera l’eccesso di liquido dilatato dalla temperatura, l’impianto di raffreddamento funziona a circuito chiuso, senza perdite né aggiunte. Questa tecnica innovativa consente all’utente di Renault 4 di non occuparsi del livello di liquido e, al contempo, lo libera dalla necessità di aggiungere l’antigelo durante l’inverno. Nessuna preoccupazione neppure in tema di lubrificazione, poiché le articolazioni sono coperte da protezioni a tenuta.

Marie Chantal vi saluta
Dall’epoca della vertenza con l’Auto Journal e della caccia ai prototipi della DS, i costruttori organizzano le loro prove nel massimo segreto. Le auto vengono inviate quanto più lontano possibile, con mille precauzioni. L’équipe di collaudatori di Louis Buty è incaricata di portare i prototipi della Renault 4 in giro per il mondo, per dimostrarne la solidità e perfezionarne la messa a punto. Per non risvegliare la curiosità, all’interno e all’esterno dello stabilimento, si è deciso di battezzare il modello “Marie Chantal”. È così che laconici telegrammi, del tipo “Marie Chantal e i suoi figli inviano i migliori auguri ai genitori”, arrivano da Paesi lontani, senza alludere ai test né alle peripezie vissute.

E le avventure non sono mancate. La più celebre resta indubbiamente quella in cui Pierre Dreyfus è finito con Renault 4 in fondo ad un precipizio in Sardegna. Questo incidente, che avrebbe potuto rivelarsi drammatico, è stato nascosto a tutto il personale di Renault e ha costretto Louis Buty, lo sfortunato passeggero di Pierre Dreyfus, a inventare una storia rocambolesca di incidente in Italia, per spiegare i numerosi punti di sutura sul viso e la vertebra lussata. Pierre Dreyfus ristabilirà la verità in pubblico, alcuni anni dopo, decorandolo con la medaglia dell’Ordine del Merito francese.

Prendi il volante!
Giugno 1961: una carovana di camion trasporta dei prototipi della futura Renault 4 in giro per la Francia, per presentare l’ultima nata ai concessionari della Rete Renault. Si organizzano varie riunioni, una per zona commerciale, in un parcheggio noleggiato e sorvegliato, per l’occasione, dalla polizia! I 3500 agenti della marca riceveranno una completa documentazione, con la presentazione esaustiva del modello. Per quanto riguarda il pubblico, è una nuovissima Renault che aspetta i visitatori al Salone dell’Auto che si svolge ancora nella grandiosa cornice del Grand Palais.

Ai margini del Salone, si organizza, nelle strade di Parigi, un’importante operazione promozionale, battezzata “Prendi il volante”, con duecento Renault 4 messe a disposizione degli automobilisti che desiderano provarle. Questo evento si rivelerà un gran successo, con circa 60.000 Parigini che si alterneranno al volante per scoprire quest’auto innovativa per la forma, per le soluzioni tecniche che adotta ma anche, e soprattutto, per il concetto che propone: urbana senza snobismo, furgonetta senza ruvidezza. La nuova Renault 4 – declinata in quattro modelli R3, R4, R4L, R4L Super Confort – è capace di adattarsi a tutti gli ambienti e a tutti gli stili di vita.

Le generazioni 4L
Prodotta dal 1961 al 1992, la Renault 4, conosciuta oggi con la denominazione, diventata generica, di 4L, ha attraversato tre generazioni di clienti, evidentemente diverse e trasversali, alla stregua dei jeans, passati da capo d’abbigliamento utile a simbolo della gioventù, prima di diventare pantaloni per tutti. Durante gli anni ’60, i proprietari di Renault 4 sono acquirenti conquistati dalla due volumi e dall’ineguagliabile spazio interno. Una scelta audace, grazie alla quale Renault si distacca dal mercato della 4 CV. La marca inaugura un’altra pagina, conservando soltanto l’essenzialità del prodotto: la Renault 4 ispira semplicità, grazie ai suoi equipaggiamenti spartani e ai colori un po’ spenti, tutti elementi che contribuiscono ad ottenere un prezzo di vendita concorrenziale.

Come un Levi's, la piccola Renault ha dei numeri – R3 o R4 –, un modo di adattarsi meglio agli usi dei suoi clienti e offrire tagli leggermente diversi: la R3 è la sobrietà assoluta, con solo quattro finestrini; la R4 è l’austerità garantita, ma con i terzi finestrini laterali che le attribuiscono lo status – teorico – di limousine! La R4 Super è il lusso secondo Billancourt, con un portellone posteriore che si apre verso il basso, che accoglie un vetro posteriore progettato per essere scorrevole. Un “su misura” nella stessa stoffa.

Renault 4 rivendica la nozione di automobile-strumento da lavoro. Bianca o grigia per gli artigiani, blu scuro per la Polizia, celeste per EDF-GDF o giallo acceso per la Posta, Renault 4 si veste dei colori dei suoi clienti-azienda, senza rinnegare nulla della sua tenuta da lavoro, alla stregua di quei famosi jeans che, grazie alla loro solidità, iniziano a sostituire le tute da lavoro e le salopette da cantiere. Tuttavia, nel 1963, Renault lancia una versione “Parisienne”, jeans neri con tasche a costine, ultima evoluzione di una versatilità in cui la donna ha ormai la propria auto.

La generazione successiva è quella degli Anni 70. I giovani accedono progressivamente all’automobile, ragazzi e ragazze, nella logica della moda unisex del momento. Renault 4 si emancipa e, più che mai, rappresenta il modello blue jeans. L’intramontabile jeans non sta forse uscendo dal blu scuro a vantaggio di tinte sbiadite? L’evoluzione dell’ex tuta da lavoro si accelera: con l’adozione delle zampe di elefante, di ricami "peace and love", Renault 4 diventa l’auto icona di una gioventù curiosa ed originale, hippy e spensierata che si ritrova nelle canzoni di Michel Fugain e del suo Big Bazar, sulle note di “C’est la fête”. Un simbolo che prefigura la “voiture à vivre”.

Renault 4 degli Anni 80 assomiglia al jeans, indossato da giovani e meno giovani, uomini e donne, al lavoro e durante il tempo libero, in qualunque stagione e Paese. Alla banalizzazione del jeans o alla sua universalità, corrisponde la democratizzazione di Renault 4 che non è l’auto di nessuno, poiché è di tutti: abolisce le età e le categorie sociali, si adatta a tutte le culture. “World car”, ma senza mai pretenderlo, perché il termine non esiste! E come la stoffa Denim si declina in multiformi fatture, Renault 4 si declina in diverse versioni: a vantaggio del piacere (Safari), dell’ecologia (GTL), della moda (Jogging, Sixties), dei giovani (Carte Jeunes) o della storia (Bye-Bye).

Ma la storia non si ferma nel 1992. Dopo circa due decenni, Renault 4 è sempre presente nello scenario automobilistico, perché ciascuno ci trova la funzionalità – o la passione – che desidera: fioriscono attivissimi club nel mondo intero e numerosi esemplari vengono restaurati, modificati, schierati nei raid, tra cui l’insostituibile 4L Trophy, o più semplicemente utilizzati quotidianamente da generazioni di appassionati. Così la 4L è diventata un prodotto cult, intramontabile: il jeans dell’automobile.


Pubblicato da Redazione, 27/05/2011
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