8300 Km di fatica sudore e dune, tantissime dune. La Dakar 2012 non parla più africano ma ha trovato in Sudamerica la sua seconda giovinezza. Ecco il resoconto e una ricca galleria d'immagini spettacolari.
COAST TO COAST Da Rio de La Plata, in Argentina, fino a Lima, in Perù, dall’oceano Atlantico al Pacifico, passando attraverso la cordigliera delle Ande. Ci sono voluti 8.300 km e ben quattordici tappe per finire la Dakar 2012, giorni di fatica dai quali sono emersi i vincitori nelle rispettive categorie: moto, auto, camion e quad.
DECIMATI 8.300 km di un percorso che, come succede di anno in anno, ha decimato “tecnicamente” il numero dei partecipanti: 443 veicoli al via e solo 249 al traguardo. La Dakar, anche se a nostro avviso è poco corretto chiamarla così, era ed è rimasta la gara più tecnica e probante tra le varie maratone fuoristradistiche a motore.
NIENTE AFRICA MA SEMPRE DAKAR I nostalgici delle precedenti edizioni in terra d’Africa non possono fare altro che affermare che il Continente Nero era tutta un’altra cosa soprattutto dal punto di vista del fascino. Tuttavia, è altrettanto vero che l’edizione di quest’anno - siamo alla 33esima – si è rivelata più impegnativa del previsto. Le ultime tappe hanno mietuto vittime illustri, che spesso si sono trovate a dover combattere con dune e difficoltà mai provate prima: alcuni piloti sono giunti al traguardo di giornata la mattina seguente passando tutta la notte a navigare nel deserto peruviano.
DUE RUOTE IN PIÙ Dakar non più d’Africa, quindi, ma pur sempre Dakar che, pur parlando l’idioma spagnolo, conserva la magia unica di questa tipologia di gare. Ecco perché non stupisce trovare nella lista dei partecipanti piloti che nelle precedenti edizioni hanno corso nelle moto e oggi continuano a candidarsi come protagonisti indiscussi nelle auto: Peterhansel e Roma giusto per citare i più noti.
POCHI UFFICIALI La Dakar è cambiata! Le case ufficiali sono ormai prossime allo zero; KTM vince per l’undicesima volta consecutiva ma è rimasta l’unica azienda a credere veramente in queste gare. Aprilia, Yamaha e Husqvarna danno il loro contributo numerico ma, com’era lecito attendersi, la sfida per la vittoria è stata, dalla prima all’ultima tappa, appannaggio del marchio austriaco e dei due piloti di punta: Marc Coma e Cyril Despres. Negli ultimi anni anche nelle auto c’è stata una progressiva e inesorabile riduzione dei budget ,e di conseguenza, sempre meno team ufficiali: eppure Mini si è presentata con una squadra di assaltatori degna degli anni d’oro di questa manifestazione. Contro il team tedesco poco hanno potuto i vari Hummer del Qatar e statunitensi e la nutrita armata di prototipi giapponesi.
PARTITA MALE L’edizione 2012 purtroppo è partita con il piede sbagliato, caratterizzata già dalle prime battute il decesso del centauro Jorge Martinez Boero, al quale ci sentiamo di dedicare questa Dakar, ma è altrettanto vero che poi fortunatamente rispetto ad altre edizioni il prosieguo della gara è filato via liscio come l’olio a parte i classici abbandoni dovuti alla stanchezza dei piloti piuttosto che la débâcle dei mezzi.
MOTO GUERRA A DUE Ma veniamo alla cronaca spiccia. Tra le moto KTM domina e lo fa costringendo i due mastini, Marc Coma e Cyril Despres, a contendersi lo stesso, prezioso, osso. Dopo un iniziale sbandamento, con la vittoria nella prima tappa da parte del pilota cileno Chaleco Lopez, nella generale la lotta per lo scettro di leader si è combattuta soltanto tra i due uomini in arancio. I bookmaker hanno dato Coma leggermente avvantaggiato rispetto al francese ma, come succede spesso, il fato ci ha messo lo zampino. A due tappe dalla fine lo spagnolo ha dovuto sostituire il motore per un guasto al cambio, ha ricevuto la penalizzazione imposta dal regolamento di quarantacinque minuti, spianando inevitabilmente la strada per il successo a Despres. Alle spalle dei due alfieri KTM si è piazzata la prima Yamaha guidata dal portoghese Rodriguez. A tenere altissima la bandiera dell’Italia ci ha pensato invece Alessandro Botturi che, da esordiente di lusso, ha portato a casa, di tappa in tappa, risultati sempre migliori partendo dalla sedicesima posizione e arrivando ottavo al traguardo.
PETERHANSEL IL RE DELLE AUTO Nelle auto il discorso cambia di poco. Mini si è dimostrata forte psicologicamente fin dalla prima speciale, probabilmente non ha le vetture più performanti, ma di sicuro ha ingaggiato alcuni dei migliori piloti da deserto come Roma e Peterhansel, i quali, prima di correre in auto, hanno affrontato la Dakar stringendo un manubrio. Contro di loro uno stuolo di case costruttrici degno del migliore autosalone multimarche. La concorrenza più agguerrita, capitanata dagli Hummer del principino del Qatar e dell’americano Robbie Gordon, non è riuscita però a impensierire eccessivamente gli uomini Mini che, alla fine, arrivano al traguardo con un vantaggio incolmabile. A chiudere il podio di questa edizione ci pensa De Villiers alla guida di Toyota – per la prima volta nella storia di questa gara – con un ritardo sul primo di un’ora e tredici minuti. Gli italiani, purtroppo, nelle auto non hanno brillato e il primo team al traguardo è quello composto dai Totani "brother" in sessantaseiesima posizione assoluta a quasi tredici ore di ritardo dal primo. Nei quad Tonetti arriva sesto al traguardo e la Liparoti è a sua volta nella top ten, mentre nei camion l'ex campione dei rally Miki Biasion conclude a sua volta sesto.