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Shelly, l’auto…autonoma, in video


Avatar Redazionale , il 23/08/12

11 anni fa - La prima auto... noma "studia" alla Stanford University

Alla Stanfrod University è in corso di sviluppo Shelly, la prima auto... autonoma, che studia e imita i comportamenti dei piloti in pista per le situazioni limite. Sarà davvero uno studio fine  a se stesso?

PILOTI, CHE GENTE Piloti, che gente strana. Ci parli e potrebbero farti innervosire per quanto sono tranquilli (almeno, nella media). Poi sali con loro da passeggero per un giro in pista e scopri che non solo potrebbero farti innervosire ma anche far rivedere il pranzo di Natale. Scherzi a parte, i piloti professionisti hanno una sensibilità che consente loro di percepire i limiti fisici di un’auto e, se necessario, controllare la suddetta auto se questi limiti venissero superati. Ma alla Stanford University stanno mettendo a punto Shelly, un’auto in grado di leggere, codificare e infine applicare da sola gli stessi input che i piloti danno allo sterzo in situazioni d’emergenza. E sabato scorso, a Thunder Hill Raceway Park, un team di professori di Stanford ha mostrato a tutti i risultati. Guarda il video.

ESEMPIO ESEMPLARE Per realizzare Shelly, questo il nome della macchina governata dai chip, gli scienziati di Stanford hanno osservato la biometria di due piloti mentre guidavano una Ford GT40 del 1966 durante la Rolex Monterey Motorsports Reunion. Sono stati rilevati la temperatura corporea, la frequenza cardiaca, e, soprattutto, l'attività cerebrale. Sotto i loro caschi, entrambi i piloti avevano il capo ricoperto di elettrodi. Non solo, ma anche l’intera GT40 è stata tempestata di accelerometri, sensori laser e giroscopi. L’intento era quello di captare le correzioni sullo sterzo impartite dal pilota in questione, uno di quelli, insomma, abituato a gestire situazioni estreme.

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BACK IN TIME Ma perché monitorare proprio una Ford GT40 del 1966? Con tutte le moderne auto sportive che ci sono in giro, non si poteva scegliere qualcosa di meno vintage? Al quesito risponde il professor Chris Gerdes, dell’università di Stanford "Se avessimo usato una macchina moderna, piena di aiuti elettronici, non saremmo stati in grado di riconoscere gli aggiustamenti dello sterzo impartiti dal pilota per stabilizzare la vettura”. E dovendo comunque possedere un bel bagaglio di prestazioni, la scelta è naturalmente caduta sulla Ford in questione.

ORIZZONTE LONTANO Chiaramente tutto questo non è solo un gioco per girare in pista senza sudare ma risponde a un disegno più grande. L’intento, infatti, è quello di utilizzare i dati ricavati dai veicoli e dai piloti per progettare dispositivi in aiuto dei guidatori di tutti i giorni. Staremo a vedere se la cosa avrà un seguito oppure rimarrà nel limbo dei progetti mai finiti.


Pubblicato da Alessandro Codognesi, 23/08/2012
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